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Adozione e affido famigliare (qui affido minorile) sono processi con lo stesso obiettivo: inserire un minore in una famiglia adatta alle sue necessità e che ne favorisca la crescita fisica e socio-psicologica.
Al centro del processo c’è quindi il minore e sebbene nessuno metta in dubbio che diventare genitori affidatari richieda sforzi e lavoro su se stessi, supporti psicologici e tanta determinazione, una famiglia che si sente di adottare/prendere in affido deve farlo perché vuole aiutare un bambino/ragazzino, non solo per colmare un vuoto.
Certamente molti genitori affidatari e adottivi non si sarebbero mai immaginati di intraprendere questo percorso se non si fossero trovati nella condizione di non poter avere figli, ma una buona premessa per far sì che l’affido o adozione riesca è proprio avere bene in mente questo: questi minori hanno bisogno di una famiglia che si prenda cura di loro, quindi lo si fa per loro.
Senza entrare nel dettaglio di famiglie d’appoggio, famiglie d’emergenza, case-famiglia e affido sine die, ci concentriamo qui sui futuri genitori, sperando di riuscire a fare chiarezza su cosa significhi per i futuri figli entrare in una nuova famiglia.
Differenze tra affido famigliare e adozione
Innanzitutto precisiamo che le differenze tra adottabilità e affido riguardano chi può adottare/prendere in affido (es. un single può prendere in affido ma non adottare) e la durata del rapporto in questione che si può velocemente riassumere così:
- l’adozione comporta l’entrata di un minore in una nuova famiglia con tanto di cambio del cognome;
- l’affido famigliare fa mantenere legami con eventuali parenti perché considera la possibilità per il minore di rientrare in famiglia. Si parla quindi di affidamento familiare temporaneo .
I motivi per cui il Tribunale dei minori decreta l’affido famigliare o l’adozione sono molteplici e i neo genitori non devono fare l’errore di pensare che una scelta abbia più o meno ripercussioni negative rispetto all’altra.
Rassicurazioni preliminari
Genitori affidatari
Mi è capitato di conoscere chi, dopo aver comprato vestitini, culla, pannolini ecc per l’imminente arrivo del neonato affidatogli, all’ultimo si sia tirato indietro perché
l’idea di affezionarmi e poi vedermelo portare via era troppo dolorosa.
Qui servono rassicurazioni: la possibilità che un minore torni nella sua famiglia biologica non deve essere visto come una fine del rapporto con lui. Al contrario: la legge italiana riconosce l’importanza dei legami affettivi a prescindere dall’esistenza o meno di legami di sangue. Questo significa che un minore che ha passato del tempo in una famiglia diversa da quella d’origine, ha il diritto di mantenere le relazioni con le persone che lo hanno aiutato a crescere, stabilendo ad esempio incontri mensili/settimanali con loro.
Se per un minore si prevede l’affido famigliare o l’adozione è solo e unicamente per il suo bene: le famiglie adottive o affidatarie hanno il compito di amare e crescere un minore la cui famiglia non c’è o non è in grado di occuparsi di lui. Questo comporta che se un giorno vorrà tornare nella sua “prima casa” oppure rimanere con gli affidatari, dipenderà dai suoi desideri, esattamente come potrà scegliere se mantenere i rapporti con i genitori (biologici o affidatari) oppure no.
Per questo non tutti gli affidi sono temporanei: alcuni durano per sempre (es. l’affido sine die, ma non è l’unica possibilità), altri nascono come affido e mutano in adozione (e spesso è il figlio in affido a richiederlo). A volte invece vengono interrotti prima del tempo per volontà dei diretti interessati. Il termine prestabilito quindi non è immodificabile.
Genitori biologici
Lo stesso vale per i genitori biologici: a volte famiglie indigenti sono riluttanti a chiedere aiuto ai servizi sociali dando come motivazione che:
Ho paura che mi portino via i miei bambini.
Pensano che non voglio bene ai miei figli.
In realtà la legge n. 184 del 1983 (“Diritto del minore a una famiglia”) prevede l’affidamento familiare per rimediare a una temporanea inabilità dei genitori a esercitare la loro responsabilità genitoriale (la quale ostacolerebbe il diritto del minore alla propria famiglia).
Questo significa che la legge tutela i minori sotto tutti i punti di vista: ogni minore ha il diritto di crescere in una famiglia che lo ami e che favorisca il suo sviluppo e, quando questo è impedito, subentra l’affido famigliare, che ha tra gli obiettivi proprio il mantenimento dei legami famigliari (tutti o solo alcuni) in quanto significativi. Ricordiamo infatti che è traumatico anche per i minori perdere le figure genitoriali di riferimento!
Le due famiglie (famiglia biologica e famiglia adottiva o affidataria) non devono vedersi come in contesa del minore ma in un rapporto di cooperazione per la miglior crescita del suddetto. Cooperazione che può avere la forma di “fare un passo indietro”, certo, ma se viene decretato che un minore andrà in affido, il fatto che egli sappia chi sono i suoi genitori biologici non è un elemento secondario: come dimostrano i casi di bambini adottati alla nascita e che una volta cresciuti vanno alla ricerca dei propri genitori biologici, il sapere da dove vengo e chi sono i miei veri genitori non è superfluo anzi, è percepito come fondamentale per la formazione identitaria.
Bambino reale e bambino immaginato
Accogliere un minore nella propria casa e nella propria famiglia è un passaggio estremamente delicato, dove entrambe le parti nutrono aspettative che, inutile negarlo, possono essere confermate o disattese.
Il minore può non avere il desiderio di entrare in una famiglia che non conosce, per timidezza o per timore di star “tradendo” la propria. Questo è dovuto senz’altro a come egli immagina la famiglia affidataria (o la famiglia adottiva) in base a esperienze pregresse, a racconti altrui, al rapporto con i propri parenti biologici, a sensazioni personali, paure e speranze. Altre volte, invece, è la famiglia ad essere diversa dalla famiglia immaginata.
Anche gli aspiranti genitori devono fare i conti con il bambino immaginato e il bambino reale: è umano avere delle fantasie, dei desideri nonché aspettative (la subconscia idea del “figlio perfetto” o eventuali pregiudizi riguardanti l’etnia di provenienza del minore che si sta andando ad adottare) e paure: paura che questo figlio sia troppo diverso da noi, che non ci “somigli” come farebbe un figlio biologico (anche se a volte persino i figli biologici assomigliano più a un nonno o uno zio piuttosto che ai genitori!), oppure paura che non ci riconosca come mamma e papà.
A tal proposito possono essere di grande aiuto le associazioni che si occupano di preparazione all’affido famigliare e all’adozione: qui aspiranti genitori si incontrano tra loro e condividono le esperienze con coloro che stanno o hanno percorso la stessa strada.
Serve ricordare che come noi, anche questi bambini/e e ragazzi/e hanno una loro storia che va scoperta con loro giorno dopo giorno, non bisogna limitarsi ad ascoltarla dalla bocca dell’assistente sociale perché quella storia è parte di loro, e come tale l’hanno vissuta in modo personale, significandola in modi che un esterno non può cogliere fino in fondo. Serve dargli e darsi tempo, cercare di coinvolgerli e farli sentire a casa, accolti e accettati.
Quando bambini e ragazzi sono stati in comunità, spesso sanno già cosa significa andare in affido perché hanno visto con i loro occhi altri ragazzi prendere questa strada. Ma può anche capitare che i suddetti coinquilini siano tornati a casa propria, lasciando il termine “affido famigliare” avvolto nel mistero se non addirittura connotato negativamente. Altre volte vanno rassicurati che affido famigliare e adozione non sono sinonimi proprio perché hanno paura di non vedere più i loro parenti.
Affidamento o adozione “già grandi” o “piccoli”
Riprendendo quanto detto nel paragrafo precedente, non bisogna credere di star facendo tabula rasa: la nuova famiglia è sì un nuovo capitolo di vita, ma non si asfalta nulla.
Molte famiglie sono restìe all’idea di intraprendere una simile avventura con bambini dai 6 anni in su perché temono che siano già troppo grandi, che non si possa “crescerli come si vorrebbe” (non ci soffermiamo sul fatto che l’età degli aspiranti genitori influisce sull’età dei potenziali figli). Certo, è sicuramente più semplice far interiorizzare regole a bambini di 3 anni che non a ragazzi dodicenni, però spesso si ignora che i primi tre anni di vita sono fondamentali per la crescita adulta: che siano grandi o piccoli, i minori allontanati dalle famiglie hanno comunque dei vissuti che non vanno sottovalutati.
Paradossalmente, è più semplice ragionare con un ragazzino delle medie e capire i suoi atteggiamenti, che non estrapolare un vissuto che ha segnato un bambino che a stento sa parlare. Basti pensare che le psicoterapie non possono essere fatte sui bambini troppo piccoli (quelle serie, perlomeno) perché questi sono ancora incapaci di rielaborazione.
In genere è previsto un supporto psicologico durante (e dopo) il “cambio di residenza”, tanto per i futuri genitori quanto per i futuri figli. Ma il supporto psicologico da solo non basta, serve innanzitutto un lavoro su sé stessi: spesso l’ufficio affidi si rivolge ad associazioni che gestiscono incontri di appoggio per coppie che vorrebbero adottare/prendere in affido, associazioni molto utili perché consentono a chi è “in attesa” di confrontarsi con chi è nella stessa situazione e anche con chi “ce l’ha fatta” e che ora si trova ad affrontare nuove sfide.
Attese
Spesso gli uffici affidi si trovano a corto di famiglie (o con famiglie non adatte al minore) e questo allunga l’attesa. Attesa che per il bambino può essere stressante se non addirittura deleteria. Sia perché magari desidera ardentemente una famiglia tutta per lui, che lo coccoli e lo faccia sentire amato e unico; sia perché lo illude di poter tornare nella propria: è il caso di tutti quei minori che mentre aspettano di andare in affido, continuano a vedere in incontri protetti i propri parenti, iniziando a credere che presto torneranno a casa quando invece per loro si prevede altro.
Primo incontro
Compito degli educatori è certamente quello di preparare i minori al percorso di adozione o affido famigliare in modo che non si percepiscano come delle pedine di un destino scritto da altri; mentre i futuri genitori devono aver risolto dubbi e perplessità: il bambino deve sentirsi accolto e cercato, eventuali incertezze lui le sente e possono fargli molto male, non importa quanto piccolo sia.
Avere davanti agli occhi colui e coloro che andranno a comporre la nostra nuova famiglia è un momento molto intenso che nessuno saprà come volgerà. Entrambe le parti devono far svanire il bambino immaginario e la famiglia immaginata per far posto a quelli reali, in carne ed ossa che adesso hanno un volto, un nome, una voce e delle movenze.
Dopo il primo incontro di conoscenza, se il minore è particolarmente timido o fa fatica a calarsi nel nuovo status di figlio, si può pensare di organizzare delle attività da svolgere con lui andando incontro ai suoi interessi (es. caccia al tesoro in casa o nel giardino, biciclettata insieme, andare al McDonald’s ecc).
Se all’inizio ci sono imbarazzi e opposizioni non bisogna scoraggiarsi, è un’esperienza nuova per entrambe le parti.